IL MUSEO DEI TAROCCHI O DELLA SAPIENZA SOSPESA
Sprof. Alberto Cesare Ambesi
Vi è il futuro che ci facciamo venire incontro di giorno in giorno, d’ora in ora. Ma esiste anche un futuro, come mi è già accaduto di rilevare, che se ne sta acquattato fra le ombre del passato: ed è vero. Questo futuro segreto - da non confondersi con il grammaticale futuro anteriore - è come un’entità o dimensione che si dilata o decresce entro il particolare cosmo degli archetipi psichici e spirituali, in connessione, ma non mai subalterno, agli eventi del ‘mondo di fuori’. Possiede un interiore ritmo temporale, talvolta simile ad una spirale che si avvita con mutevole velocità o verso l’alto o verso il basso, talaltra ad un cerchio verticale, che, repentino, si abbatte su se stesso, se mi è concessa l’espressione. Perciò si costituisce da oggi - 9 giugno 2007 - il Museo dei Tarocchi, in un comune - Riola di Vergato - collocato alla confluenza dei fiumi Reno con il Limentra, e, non a caso, in un’area dell’Appennino tosco emiliano che presenta eccezionali motivi d’interesse artistico e misterico. Ancorché poco conosciuti.
Guarda caso, a cominciare da due opere che proprio in questa località sembrano voler collegare un passato prossimo di mezzo secolo addietro ad un passato remoto, poco più che secolare. Forse una sfida (o un sostegno?) alle due immagini geometriche che ho evocato a plurimo titolo simbolico. Intendo riferirmi, tanto per essere subito più preciso, alla fiabesca Rocchetta Mattei della metà Ottocento e alla chiesa di Santa Maria Assunta, che si trova ai suoi piedi: unica opera in Italia, quest’ultima, progettata dal grande architetto finlandese Alvar Aalto (1898-1976) nell’arco cronologico a cavallo tra la fine degli anni ’60 dello scorso secolo e l’inizio del decennio successivo, ma poi edificata solo a partire dal settembre 1976, quattro mesi dopo il decesso dell’ideatore. Due presenze architettoniche tanto più rilevanti, quando si consideri il significato che, a vario titolo, è attribuibile a ciascuna, entro uno spazio concettuale che potrei definire analogico, poiché connette farmacopea e teologia, avendo l’arte per strumento d’espressione.
Delucido in rapida sintesi, avendo il trasparente intento di dimostrare che il Museo dei Tarocchi s’inserisce come elemento di raccordo fra i due monumenti citati. Quasi a somiglianza della nota mediante o ‘caratteristica’ del basilare e fondante accordo di tre suoni dell’armonia classica. Ebbene se così è, prima di discorrere del suono di mezzo (il Museo dei Tarocchi), sarà il caso di dire due parole sulla nota fondamentale (la Chiesa di Aalto) del paesaggio di Riola e sulla sua dominante (la Villa-Rocchetta Mattei), e come tale in grado di condurre i pensieri verso inusitate emozioni. Un compito facile e difficile, simultaneamente. Facile, perché non v’è dubbio, per esempio, che l’estrema modernità d’invenzione dell’architetto ebbe esiti straordinari nell’ideazione di Santa Maria Assunta, riproponendo nelle proporzioni i canoni sovrastorici che, nell’Apocalisse, sono attribuiti alla ‘Gerusalemme celeste’, ma senza dimenticare la dissomigliante necessità di riuscire a concepire un luogo sacro in perfetta armonia con il paesaggio circostante. Da quivi l’ispirato richiamo, nella facciata dell’edificio, alle tre montagne che sembrano a guardia di Riola: Montovolo, Monte Vigese e Monte Vigo, già custodi di culture protostoriche e di talune propaggini della civiltà etrusca.
Atteggiamento e conquiste che si ripresentano nell’interno della chiesa, dove Aalto non solo ebbe l’accortezza di adoperare materiali del luogo, come a sottolineare l’evento che egli aveva saputo essere in ascolto delle voci che qui la Natura propone - una vetrata s’apre sulle acque fluviali: analogica ripresentazione del fiume Giordano - ma domandando pure alla propria inventiva di farsi invocazione ed ‘evocazione’, tanto da prevedere che sul fonte battesimale potesse irradiarsi dall’alto, da una cupola di vetro, una luce naturale espansa, simbolo eloquente dalla sapienza illuminativa che la discesa del Santo Spirito può disseminare. Sapienza tuttavia ardua da acquisirsi e da tramandarsi con piena coscienza. Non per nulla, quando si decida di contemplare la sovrastante costruzione ottocentesca, lasciando che risuoni nella coscienza a somiglianza della dominante che caratterizza l’area di Riola, ecco venire incontro all’intelligenza un enigma che sarebbe riduttivo trascrivere entro il catalogo delle bizzarrie, ma che, d’altro canto, rischierebbe d’apparire una testimonianza alquanto discutibile, nel caso che vi si volessero scorgere velati richiami ad una perduta sapienza capace d’abbracciare il visibile e l’invisibile.
Mi spiego. Nella fiabesca costruzione Mattei, può dirsi veramente custodito un ‘segreto’, in via diretta o mediata, ma il cui valore appare per la verità imprecisabile. Quivi difatti visse dalla metà del XIX secolo e fino l’anno della morte, nel 1896, il conte bolognese Cesare Mattei, conquistandosi larga fama europea, quale ideatore di un metodo di cura che combinava principi alchemici e farmaci omeopatici, tradizioni fitoterapiche e applicazioni da sorgenti elettriche. Uno strano miscuglio terapeutico offerto sempre e comunque gratuitamente e con risultati che dovettero apparire sorprendenti ed efficaci, tanto che i suoi trattati conosceranno più di una traduzione. A cominciare dall’indicazione dei principi di base codificati nel volume La Medicina elettro-omeopatica (1883 e 1886 per le versioni, rispettivamente, in lingua francese e in lingua italiana). Indicazione - si noti bene - ma nulla più. Cesare Mattei, per motivi che sfuggono, non vorrà mai rivelare i fondamenti e i dettagli della sua ‘arte’ e finirà con il portare codesti segreti nella tomba.
Con conseguenze per certi versi prevedibili. Il suo nome è difatti ricordato, con poche righe -quando è ricordato - come quello di uno ‘scienziato mattoide’ (si veda il lemma Elettro-omeopatia nell’Enciclopedia delle scienze anomale, Forse Quenau di Paolo Albani e altri autori, Zanichelli Editore, Bologna, 1999). In compenso, per così dire, la leggenda tramanda che l’insieme delle sue prescrizioni si trovi scritto sulle pareti di qualche stanza della Villa-Rocchetta e che sarebbe sufficiente una qualche accurata investigazione, con moderni strumenti di sondaggio, per vedere riemergere da sotto gli intonaci, i prodigiosi ricettari. Comprensibile, fin troppo comprensibile, a questo punto, che si ceda alla tentazione del sorriso ironico. Ma senza soverchia sicurezza, a mio sommesso avviso: nell’illustrazione che correda la citata ‘voce’ dell’opera pubblicata da Zanichelli non si potrà non rilevare che la tavola ‘elettro-omeopatica’, ripresa dal testo di Cesare Mattei, ha una qualche, curiosa somiglianza, sia pure a livello solo elementare, con taluni diagrammi dell’agopuntura cinese, oggi in fase di piena rivalutazione. Chissà cosa potrà riservare il domani?
Ecco, risuona ora la nota mediante o ‘caratteristica’ che il nuovissimo Museo dei Tarocchi reca ad arricchimento della vita, intima ed estrinseca, di questo pianoro. Con due fini inequivoci: a) dimostrare la fertilità ispiratrice del tema dei tarocchi su cerchie sempre più ampie di artisti contemporanei; b) comprovare come e qualmente il regno dei tarocchi sia da riguardarsi non già come una sfera in sé conclusa, bensì quale cammino che si apre con molti sentieri verso i giardini dei simboli, terreni e celesti. Tali le proposizioni nel segno delle quali s’intenderà qui convocare molti talenti e con lo scopo di rammentare ai finti immemori che l’immagine e la parola, il gesto e il suono possono trovare nel segno (nella scrittura) la più alta e profonda codificazione, giacché il pensiero e la creatività che nascono dalla riflessione e dall’intuizione, dall’analisi e dalla comparazione e sintesi sono anch’essi una manifesta forma di compassione verso l’Uomo e verso l’intero mondo vivente. Checché ne dicano coloro che vorrebbero inchiodare al suolo manoscritti e codici, o i testi troppo sapienti, nel nome di una malintesa semplicità francescana.
Vi è ancora altro da aggiungere? Certamente, e a questo proposito vorrei sottolineare che, in connessione con lo studio dei tarocchi, il Museo intende richiamare l’attenzione del pubblico e degli studiosi sui simboli che ne prefigurano o ne incorniciano il senso riposto, quando rintracciabili nelle principali realizzazioni artistiche e architettoniche delle città italiane, in modo da creare una rinnovata e coerente modulazione storico-critica lungo l’arco di tempo che si protende dall’arte medievale e rinascimentale fino alle ricerche, oramai post-post moderne, del secolo attuale. Senza dimenticare - questo è ovvio - che intrecciato questo segmento di storia si trova un filo azzurro e oro del quale sono intessute le dottrine esoteriche: esoteriche e - come tali - non già e non mai banalmente occultistiche, intorno ad affari di cuore, di denari e di salute, bensì divinatrici dei destini di un’anima o di una stirpe, qualora necessario. Non è forse attributo all’alchimista Maria la Copta (o l’Ebrea) l’assioma che suona: «L’Uno diviene Due, il Due diviene Tre e dal Tre l’Uno procede come quarto.»?